IL MIRACOLO (25 maggio 1966)
CHE HA
PORTATO PAPA GIOVANNI XXIII ALLA BEATIFICAZIONE
(3 sett. 2000)
Suor Caterina Capitani, Figlia della
Carità,
guarita da Fistola enterica di ampia portata postresezione gastrica il 25
maggio 1966.
Narriamo i fatti così come li abbiamo appresi
dalla viva voce della “miracolata” e dei sanitari che l’hanno assistita.
Suor Caterina Capitani, uscita nel novembre 1963 dal Noviziato delle Figlie
della Carità della Provincia Napoletana, prestava il suo servizio presso gli
Ospedali Riuniti per Bambini “Lina Ravaschieri” in Napoli.
Nel marzo 1964 un’imponente emorragia per bocca destò sorpresa e serie preoccupazioni.
Lo stato di salute della suora preoccupava seriamente a motivo degli episodi
emorragici che si ripetevano con sempre maggiore frequenza ed intensità.
Il 10 maggio 1965 si ricorse alle cure del chiarissimo Professor Giuseppe
ZANNINI, Direttore dell’Istituto di Semeiotica Chirurgica dell’Università
di Napoli, specialista in chirurgia dei vasi sanguigni. Egli si impegnò con
passione a scoprire le cause dell’inspiegabile male, ma neppure le sue indagini
ottennero risultati soddisfacenti.
La paziente presentava un grave decadimento generale: non poteva nutrirsi
convenientemente e quando veniva colpita dalle emorragie era costretta, per
tre o quattro giorni, a prendere solo dei pezzettini di ghiaccio. Presto le
emorragie divennero sempre più imponenti e numerose, fino a ripetersi ogni
quindici ed anche ogni otto giorni e meno ancora. Ricoverata d’urgenza nella
Clinica Mediterranea, il Prof. Zannini decise di operarla per presunta ipertensione
portale e dopo i necessari accertamenti, il 30 ottobre la sottopose alla splenoportografia.
In sala
operatoria, dinanzi a Suor Caterina un’immagine del Papa Buono. Il Prof.
Zannini era aiutato dal Prof. Mazze o e dagli Assistenti Proff. Mazzitelli e Vittoria, nonché
dall’Anestesista Prof. Cuoccolo. Dei medici che in precedenza si erano occupati
della nostra inferma non ne mancava alcuno. A intervento iniziato il Chirurgo si
rese subito conto dell’estrema gravità dell’atto operatorio. Con grande abilità
praticò un’ampia resezione gastrica subtotale, asportando tre quarti di stomaco
e lasciandovi appena un moncone delle dimensioni di un’albicocca, l’unica parte
non ulcerata.
Si rese indispensabile anche l’asportazione della milza (splenectomìa) e la
deconnessione della vena Porta con la vena Cava (anastòmosi).
Furono momenti di estrema trepidazione per tutti. La vita di Suor Caterina era
legata ad un filo di speranza. L’esame istologico della milza e dello stomaco
confermava la diagnosi del Prof. Zannini: numerose erosioni diffuse in tutta la
mucosa gastrica e una spiccatissima iperemia nella milza.
L’intervento si protrasse per cinque ore, durante le quali la Comunità delle
Figlie della Carità restò in fervida e trepida preghiera, per sollecitare
l’intercessione di Papa Giovanni in favore di Suor Caterina, ormai fra la vita
e la morte. Giorni di spasimi e di atroci dolori attendevano l’inferma. Si ricorse all’ossigeno ed agli accertamenti
radiografici. Questi denunciarono la presenza di un velo pleurico e
l’immobilizzazione del diaframma.
Il susseguirsi di fatti clinici sempre più preoccupanti invece di scoraggiare
l’inferma ne accrescevano la fiducia nell’aiuto divino. Si iniziarono le cure
del caso ed anche questa volta l’estremo pericolo fu scongiurato.
L’11 novembre Suor Caterina potè essere dimessa dalla clinica e trasportata
all’Ospedale “Lina Ravaschieri”, Qui cominciarono nuovi, acuti dolori, dovuti
forse alla presenza di “acetone”, che le procurava frequenti vomiti; il suo
peso scese da 73 a 59 kg. Le sue
condizioni generali non accennavano a migliorare, anzi divennero presto
scadentissime e due mesi dopo ci si vide costretti a rivolgersi di nuovo al
Prof. Zannini.
Il 6 aprile 1966 Suor Caterina era ospite delle Suore dell’«Ospedale della
Marina», ove era Superiora colei che l’aveva fatta ammettere tra le Figlie
della Carità.
Il Professore se ne prese cura con una dedizione incomparabile, ma l’ammalata
continuava ostinatamente a deperire: si alimentava pochissimo. Ma,
a misura che il male diveniva preoccupante, l’inferma si affidava con
crescente, filiale abbandono alla protezione di Papa Giovanni.
Il 17 maggio l’inferma venne portata in ambulanza all’Ospedale della Marina
(Napoli). Il Prof. Zannini si
affrettò a visitarla, e ne rilevò la gravità del caso. Non potendo però
intervenire chirurgicamente, si limitò a prescrivere delle trasfusioni di
sangue, infusioni, antibiotici, ecc., e liquidi per bocca come alimentazione.
Le condizioni generali si aggravavano, la febbre permaneva molto alta, la
fistola continuava ad espellere quanto la Suora riusciva ad ingerire con grandi
stenti. Il 19 maggio, festa dell’Ascensione, i Superiori, vedendo Suor Caterina
in imminente pericolo di vita, accolsero
la sua richiesta di ricevere gli ultimi sacramenti e le consentirono pure di
emettere i voti religiosi. Si confessò, si comunicò con una particella di Ostia
e si dispose serenamente alla morte che sentiva molto vicina: “ora posso
morire; sono pronta!”
Il 22 maggio le fu recata una reliquia di Papa Giovanni: la pose sulla fistola
con la convinzione di essere esaudita. Iniziò,
come poté, una novena in suo onore. Chiese che le fosse collocata di fronte al
letto un’immagine del Papa. La paziente soffriva un forte mal di testa. Sì
temette da un momento all’altro la fine.
Il 25 maggio
1966, terzo giorno della novena, la Suora ebbe la netta impressione che non
sarebbe giunta fino a sera. Dopo le 14 il termometro aveva segnato 39.5, la
fistola continuava ad emettere liquido, il polso era piccolissimo, il respiro
affannoso, le funzioni dell’intestino bloccate da dodici giorni. L’inferma
pregò la Suora che l’assisteva di socchiuderle la porta perché desiderava
starsene in attesa del Signore. Cediamo la parola alla Suora:
“Restai sola. Stavo girata sul lato destro ed ero assopita quando — potevano
essere le 14,40 — sentii una mano poggiata sullo stomaco, in direzione della
fistola, ed una voce che mi chiamava dal lato sinistro:
“Suor Caterina!”. Spaventata nel sentire una voce di un uomo, mi voltai e vidi
in piedi, accanto al mio letto, Papa Giovanni in abiti papali, non bianchi, che
non so descrivere perché mi fermai a fissare il viso che era molto bello e
sorridente. Egli mi disse:
“Suor Caterina mi hai molto pregato ed anche molte Suore e persone lo hanno
fatto!... Me l’avete proprio strappato dal cuore questo MIRACOLO! Ma ora non
temere, tutto è finito. Tu stai bene, non hai più nulla.
“Mi sentii subito un’altra.,. ero guarita!”.
Mi alzai in mezzo al letto perché non sentivo alcuna sofferenza. Poi,
emozionata e tremante — temevo mi ritenessero allucinata — suonai il campanello
per chiamare le Suore che stavano realmente in cappella a fare la meditazione
delle 14,30 che si precipitarono prevedendo il peggio, ma quale fu la loro
sorpresa nel vedermi in mezzo al letto e fra le meraviglie di tutte chiesi di
mangiare e dietro le mie insistenze fui accontentata. Presi subito del
semolino, poi un gelato di latte di mandorla e poiché avvertivo ancora
appetito, presi anche delle polpettine ed alle 18 pastina in brodo.
Il momento più trepidante e commovente fu quando la Superiora scoprì la fistola
per assicurarsi se ci fosse stata fuoriuscita degli alimenti che poco prima
avevo ingerito. Ma la fistola non c’era più. Era completamente chiusa, e di
essa non esisteva neppure l’aureola rossastra che la circondava.
Dopo i primi
attimi di smarrimento la Superiora mi misurò la febbre: il termometro non
segnava neppure 37 mentre un quarto d’ora prima era 39,5. Le funzioni
intestinali, bloccate da dodici giorni, si riattivarono subito. Chiesi di
alzarmi e camminai da sola, senza barcollare né aver bisogno di appoggiarmi.
A questo punto dissi che ero guarita, che Papa Giovanni era venuto a guarirmi.
L’indomani, 26 maggio, mi sentivo completamente in forma; feci una colazione
con tè e savoiardi; alle nove presi pane con pomodoro; a mezzogiorno pranzai a
refettorio con le Consorelle. Mangiai con molto appetito minestrone, pasta con
zucchini, capretto al forno con patate, frutta. Nel pomeriggio feci merenda con
formaggio dolce e pane; a cena presi una minestrina, della carne con contorno
di asparagi e della frutta.
Nello stesso giorno venne a visitarmi il Prof. Zannini che, meravigliato nel
trovarmi seduta in mezzo al letto e sorpreso della istantanea scomparsa della
febbre, rilevò che la fistola non c’era più; di essa non rimaneva che un
piccolo punto appena visibile. Prescrisse delle cure ricostituenti a base di
vitamine (che in verità non feci, perché ero guarita) e una radiografia del
tratto esofago-gastro digiunale. Volgendosi alla Superiora, disse: ‘Questa
Suora è strana, in bene e in male!’. Poi, soddisfatto e confuso, si congedò”.
P. V. Iacovone cm, in
Presenza Vincenziana 1966.
La Consulta Medica
della Congregazione dei Santi il 22
aprile 1999, con cinque voti su cinque, ha stabilito che la modalità di
guarigione fu istantanea, completa e duratura, scientificamente inspiegabile.