Santa Luisa de Marillac
(1591-1660)
di
Sr. Mariantonia Di Tano, FdC
La giovane
Luisa
nasce a Parigi il 12 agosto 1591, da Luigi de Marillac, Signore di Ferrières,
imparentato con la migliore nobiltà di Francia e da madre ignota, probabilmente
una domestica.
Luigi de
Marillac riconosce la figlia ma non può tenerla in casa, sia per i
continui spostamenti cui è soggetto come ufficiale dell’esercito, sia perché,
dopo qualche tempo, convolerà a seconde nozze con la vedova Antonietta Camus.
Per Luisa,
bambina di tre anni, siamo infatti nel 1594, esclusa per legge dall’albero
genealogico della famiglia, si prospetta la possibilità di entrare nel più
aristocratico convitto di Francia e cioè nel real Monastero di Poissy, sorto
accanto alla Chiesa di Notre Dame, dove le religiose domenicane ospitavano
alcune nobili fanciulle destinate a vivere nell’alta società.
In questo
Monastero, dove viveva anche una sua prozia, donna nobile e colta, Luisa riceve
un’educazione raffinata, sia sul piano spirituale che su quello umanistico. Si
prepara per ricevere la prima comunione, viene iniziata alla pietà, allo studio
delle lettere e del latino, all’arte e alla poesia. Rimarrà in questo monastero
solo fino all’età di 13 anni, dato l’aggravarsi delle condizioni
economiche in seguito alla morte del padre (1604).
Da Poissy
viene trasferita in una pensione di Parigi gestita da una damigella semplice ed
umile (probabilmente sua madre). Qui Luisa, ormai lontana dall’atmo-sfera
raffinata e colta di Poissy, apprende, insieme ad altre ragazze, il ricamo, il
cucito e la concretezza della vita.
In questo
periodo, Luisa, ormai quindicenne, si interroga sul suo avvenire ed è in
questo periodo che ella matura la scelta di consacrarsi a Dio nella vita
claustrale. Ma dove? Proprio in quegli anni erano giunte a Parigi le Monache
Cappuccine, chiamate all’epoca “Figlie della Passione”.
Luisa si
reca molto spesso da loro per la sua consueta preghiera e piano piano inizia ad
affezionarsi a quella vita basata sull’amicizia ma anche sulla contemplazione e
sulla preghiera. Nasce così in lei il desiderio di vivere la loro regola
austera e chiede al suo direttore spirituale di aiutarla a capire se il suo
proposito corrisponde alla volontà di Dio.
La
risposta non tarda a venire. Il Padre Onorato di Champigny, Provinciale dei
Cappuccini, si oppone decisamente a questo suo proposito a causa della debole
salute di Luisa, e la invita a pregare.
Quel “no”
per Luisa è motivo di grande dolore, ma, allo stesso tempo, l’espressione della
volontà di Dio.
La sposa e
la madre
A guidare
i suoi giovani anni sarà lo Zio Michele, giureconsulto di gran valore. Sarà lui
a prospettarle, dopo il grande rifiuto da parte del Cappuccino, la via
del matrimonio.
La scelta cadde su Antonio Le
Gras, non nobile, (perciò Luisa non potrà avere il titolo di “madama”, ma solo
quello di “madamigella”), di buona famiglia, scudiero e segretario della
Reggente Maria dei Medici, e una solida posizione economica.
È il 5 febbraio del 1613, quando
le campane della Chiesa di San Gervasio in Parigi, suonano a festa per il
matrimonio di Antonio e Luisa.
Anche se questo matrimonio si
annunciava felice, e forse lo fu per un certo periodo, soprattutto durante mesi
della sua gravidanza e della nascita dell’unico figlio Michele, Luisa si
sente come debitrice nei confronti di Dio, per cui si impone di
santificare il matrimonio con una vita di sacrifici: cilicio,
preghiere, digiuni e opere di carità.
La sua vita era tutto un dovere:
doveri di cristiana, doveri di sposa, doveri di madre, mortificando così
tutte le gioie naturali e soprannaturali.
Erano trascorsi appena sette anni
dal suo matrimonio quando il marito si ammala e di questa malattia si sente
responsabile e colpevole. La percepisce come una punizione di Dio per non
essersi consacrata totalmente a Lui.
Luisa, nonostante sia caduta in
una grave crisi di fede e in una depressione profonda, non trascura il bisogno
quotidiano di recarsi regolarmente a pregare nella Chiesa di Saint Nicolas des
Champs, vicino a casa sua. E il Signore non tarda a farsi sentire.
Il 4 giugno 1623, giorno di
Pentecoste, mentre è in ginocchio davanti a Dio, e mentre gli grida tutta la
sua angoscia e il suo dolore, improvvisamente una Luce inonda il suo cuore. Ha
la certezza dell’esistenza di Dio, intravede la sua missione: sa che verrà un
tempo in cui potrà fare voto di castità, povertà, obbedienza in compagnia di
altre “che vanno e vengono” perché consacrate al servizio dei poveri.
Avverte una nuova capacità di
leggere gli avvenimenti e il passaggio di Dio nella sua vita.
Uscirà da
quella Chiesa di Parigi placata, trasformata, finalmente in pace. Con
grande serenità riprende il suo posto accanto al figlio e al marito
infermo.
Da tenera
sposa si trasforma in infermiera premurosa e attenta fino alla crisi
finale. Antonio le Gras muore nel 1625 a 47 anni, dopo 12 anni di
matrimonio.
Anche di
fronte alla tormentata vita del suo giovane figlio, Luisa si sente più
forte come madre e come educatrice.
Lo affida
alle cure dei Padri gesuiti prospettandogli la via del sacerdozio: un sogno che
non si realizzerà mai. Michelino non ha vocazioneea25 anni lascerà la teologia
per l’avvocatura.
Nominato
consigliere della corte dei conti riceverà, in seguito la nomina a Podestà
della signoria di San Lazzaro. A 37 anni sposerà Gabriella le Clerc e diventerà
padre di una bella bambina che chiamerà Luisa.
La
Discepola
Nella sua
vita, Luisa ha avuto sempre punti di riferimento, persone cui affidarsi e da
cui lasciarsi guidare: San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, Monsignor
Camus Vescovo di Belly, ma la persona che le cambierà la vita, perché determinante
e incisiva, sarà San Vincenzo de’ Paoli, conosciuto in Francia come un prete
dinamico e inventivo: a Parigi e nei villaggi che circondano la capitale ha
organizzato le “Confraternite della Carità”, o semplicemente “la Carità”.
Dopo
alcune esitazioni, incomprensioni e diffidenza reciproca, Luisa e Vincenzo
scoprono di avere meravigliose risorse spirituali.
Dio
legherà all’incontro di queste due anime la straordinaria storia della Carità.
Vincenzo
si mette all’opera, trattandola ora con infinita dolcezza, ora con forte
determinazione ma sempre con grande saggezza.
Il suo
intento è di condurla gradatamente a liberarsi da tante forme di devozionismo
penitente e ad abbandonarsi fiduciosa alla Provvidenza di Dio.
Luisa
accoglie docilmente i consigli, i suggerimenti e la guida di Vincenzo e proprio
in un ritiro spirituale programmato sotto la sua guida, mentre è in preghiera,
si sente ispirata a fare qualcosa per sé e per gli altri, a dare una svolta
alla sua vita, anzi a dare un senso alla sua vita. Pensa ai poveri e a come
aiutarli. Sente forte il desiderio di servirli e di farsi loro serva. È allora
che decide di dedicare tutta la sua vita ai poveri.
Anche
attraverso la pittura, Luisa manifesta il suo grande desiderio: donarsi a
Cristo per rivelare l’amore di Cristo ai poveri.
Da quel
momento Vincenzo pensa di affidarle la direzione e l’organizzazione delle
Confraternite della carità.
È vero che
ella ha una salute delicatissima, ma ha anche una volontà e un coraggio
straordinari, una prudenza non comune e soprattutto l’intelligenza del povero
perché ne possiede il vero amore.
La prima
Confraternita della Carità era stata fondata a Chatillon-les-Dombes nel 1617,
da parte di un gruppo di signore volontarie con lo scopo di dedicarsi al sollievo
corporale e spirituale dei poveri ammalati a domicilio.
Le
Confraternite della Carità, erano ormai disseminate per tutta la Francia ed era
importante visitarle, incoraggiarle, riorganizzarle, motivarle e anche
erigerle lì dove si riteneva necessario.
Luisa
accoglie l’invito di San Vincenzo come un dono di Dio e con grande umiltà e
gioia, sfidando le intemperie e i disagi dei lunghi viaggi, inizia
l’avventura della carità.
Un lavoro
nuovo, diverso dal solito ma anche ricco di soddisfazioni per la sua anima,
tanto che, nonostante la sua vita sia ricca di apostolato e altre attività,
Luisa non trascura la sua vita interiore alimentandola con la preghiera e la
contemplazione.
La sua
giornata è un prolungamento della Celebrazione Eucaristica. La Messa ascoltata
la mattina, è vissuta da Luisa durante tutta la giornata in unione con il sacrificio
di Cristo.
Le
difficoltà non tardano ad arrivare. Dopo il primo fervore ed entusiasmo delle
Dame di servire i poveri, per quanto volenterose, non sempre si recano
personalmente al capezzale degli ammalati, impedite come sono dai loro doveri
familiari e sociali, facendosi sostituire dalle loro domestiche.
Ma si può
forse affidare a mani mercenarie l’alto onore di servire Gesù Cristo nelle sue
membra sofferenti? In questo modo veniva meno lo scopo principale per cui erano
state istituite le “Carità”.
San
Vincenzo aveva desiderato che le Dame portassero personalmente i soccorsi ai
poveri così potevano rendersi conto della loro povertà, dei loro bisogni, dello
stato morale in cui si trovavano; dire loro una parola di conforto,
incoraggiarli con dolcezza ad uscire dal loro stato di abbandono, aiutarli a
risolvere i loro problemi ed esortarli a compiere i loro doveri di cristiani e
di cittadini.
Le Dame
stesse se ne resero conto ma più di loro se ne rese conto Luisa che guardava i
poveri con gli occhi del cuore. Altre soluzioni al problema non erano né
evidenti né chiare. Bisognava aspettare l’ora della Provvidenza.
La
Co-Fondatrice delle Figlie della Carità
Evangelizzando
i poveri della campagna, Vincenzo aveva spesso incontrato buone giovani,
semplici e modeste, abituate ai duri lavori della campagna e della povertà.
Loro stesse gli avevano confidato di non sentirsi portate per il
matrimonio, né per una vita claustrale, ma volentieri si sarebbero date a Dio
per servirlo nei poveri. Vincenzo richiama alla mente questo ricordo e per circostanze
provvidenziali, il Signore gliele fa incontrare.
La prima
si chiamava Margherita Naseau, una pastorella del villaggio di Suresnes. Dopo
di lei altre giovani sentiranno parlare della “Carità a Parigi” e chiederanno
di mettere a disposizione il loro tempo e la loro vita a servizio dei poveri.
Ma
dedicare tutta la vita a servire i poveri senza conoscere fino in fondo
la motivazione e senza alimentare lo spirito dello stesso servizio, non era
l’ispirazione primordiale di Vincenzo: “Tutte possono dare un po’ di minestra...”,
dirà in seguito, per questo sente da subito, l’obbligo e il dovere urgente
di fare qualcosa per queste giovani.
Occuparsi
di queste giovani significava riunirle, educarle, formarle ad una vita
spirituale seria e profonda, guidarle nella vita comune, prepararle, in altre
parole, a divenire vere Serve dei Poveri.
Chi più di
Luisa, può assolvere tale compito? Ella possiede intelligenza e cuore, pietà e
indulgenza, tenace e pazienza.
Le chiama,
le raduna, le istruisce, le incoraggia, le corregge. Fa capire loro come
attraverso il povero si serve Cristo, anzi, fa capire loro come servendo il
povero si serve Cristo stesso perché il povero e Cristo sono la stessa realtà,
e le conduce piano, piano a quel servizio umile, cordiale, compassionevole,
pieno di rispetto e di devozione che caratterizzerà, nel tempo, le vere Figlie
della Carità.
È il 29
novembre 1633. Nella piccola casa di Rue des Fossés-Saint-Victor, a Parigi,
Luisa prega insieme alle sue prime figlie. Ella prega e ricorda la
Pentecoste del 1623. Ora comprende la visione, la vede illuminarsi davanti ai
suoi occhi, anzi la vede concretizzarsi: quelle giovani che “vanno e
vengono” stanno davanti a lei, sono lì, raccolte in preghiera.
Il Signore
guarda compiaciuto quel piccolo nucleo di ragazze semplici, dal cuore colmo di
amore e segna in quel giorno la data di fondazione della piccola Compagnia
delle Figlie della Carità.
Luisa
sente di aver trovato la sua strada, comprende che quest’opera sarà tutta la
sua vita e allora il 25 marzo 1634 fa voto irrevocabile a Dio di consacrarsi
totalmente a tale missione.
Ora il suo
cuore è tutto di Dio e tutto dei poveri, la sua vita è tutta orazione e tutta
azione.
Ma anche
la vita delle sue Figlie sarà all’insegna di questa totale donazione a Dio e ai
poveri.
All’inizio
è l’assistenza ai poveri e ai malati nelle loro case che caratterizza il loro
servizio: vanno, portando sulle spalle la storica gerla, la marmitta
della minestra, i medicinali da distribuire. Vanno per le strade, per i vicoli
dei sobborghi parigini, e la gente inizia a conoscerle e ad amarle, fino
a scegliere il nome per loro che non hanno ancora e che resterà per tutti i
secoli avvenire: le Figlie della Carità.
Si
apriranno, in seguito le prime scuole dove insieme al calcolo e alla lettura, i
bambini imparano a conoscere e ad amare Dio.
Le Figlie
della Carità entreranno negli ospedali, nelle galere, sui campi di battaglia,
nei ricoveri e ovunque c’è una miseria.
Intanto
per le vie di Parigi, negli angoli delle strade, dietro le porte delle Chiese e
dei Conventi vengono depositati e abbandonati, avvolti in pochi panni, bambini
appena nati. È una nuova grande miseria che tormenta l’anima di Vincenzo. Che
cosa fare? Vincenzo li raccoglie e li affida al cuore materno di Luisa, che con
le sue figlie inizia l’opera dei trovatelli.
Il campo
di azione per le Figlie della Carità si allarga giorno per giorno e le generose
figlie di Luisa non si arrestano davanti ai sacrifici, sanno per
certo che il Povero è Cristo.
Ancora
oggi, come all’inizio, ovunque c’è un povero, un malato, un emarginato, uno
sfiduciato, lì la Figlia della Carità è presente traducendo in tutte le
lingue il linguaggio della Carità.
La Santa
Luisa,
ormai vicina alla fine, sente il bisogno di dover affidare questa piccola
opera a colei che tanto ha amato e pregato in vita: Maria Immacolata. A Lei
consacra la Compagnia nascente e la elegge come sua “Unica Madre”.
Luisa ha
professato apertamente la sua fede nell’Im-macolata Concezione, quando ancora
non era verità definita dalla Chiesa, e l’ha inculcata nell’animo delle
sue figlie che la tramanderanno di generazione in generazione.
A
confermare tutto questo, sarà la stessa Madonna che nel 1830, apparendo a Santa
Caterina Labouré, Figlia della Carità, dirà: “La Comunità io l’amo”.
Siamo nel
1660: Luisa de Marillac ha 69 anni. La sua salute ormai è delicatissima e le
sofferenze aumentano ogni giorno di più fino a stremarla: i suoi ultimi
pensieri e le sue ultime parole saranno per le sue figlie e i poveri:
“Non abbiate occhi e cuore che per
i poveri... vivete bene insieme, in una grande unione...”.
È il 15
marzo 1660. Nella stanza piccola e disadorna, tra un agitarsi di cornette
bianche, nella commozione di quanti l’hanno conosciuta e amata, Luisa muore
nella pace del Signore della Carità, che non ha mai cessato di amare e servire
per andarlo a incontrare in Paradiso.
Dopo
diversi traslochi, la sua salma riposa oggi su uno degli altari a lei dedicato,
nella Cappella della Casa Madre delle Figlie della Carità a Parigi in Rue du
Bac 140.
L’alba del
9 maggio 1920 il volto di Luisa de Marillac si illumina di una luce
particolare: è il riflesso della santità di Dio, mentre il Papa Benedetto
XV, circondato da tutta la chiesa in festa, esalta le sue virtù eroiche e la
dichiara “Beata”.
Pio XI, l’11
marzo 1934, acclamato da una moltitudine di Figlie della Carità venute da ogni
angolo della terra, la proclama “Santa”.
Il
granello di senape si è prodigiosamente sviluppato, il pizzico di lievito
evangelico è meravigliosamente cresciuto. Le Figlie della Carità, quelle che
ancora oggi “vanno e vengono” sono ovunque c’è un uomo che soffre, una
miseria da soccorrere, una lacrima da asciugare, una solitudine da colmare, un
cuore da consolare. Ma soprattutto, ovunque si realizza l’insegnamento di
Luisa: restituire a ognuno, con la salute del corpo, quella dello spirito.
Il 21
aprile 1954, sono trascorsi dieci anni dal giorno della Canonizzazione di Luisa
de Marillac, nella Basilica Vaticana le Figlie della Carità si ritrovano per
assistere alla posa della statua della loro “Santa Madre” nella nicchia,
la quarantesima e l’ultima, destinata ai fondatori.
Di lì,
ella continua a guardare le sue Figlie e ad inculcare nel loro cuore l’amore
del povero, l’intelligenza del servizio umile e disinteressato, la capacità di
comprendere i bisogni più nascosti, lo zelo per la promozione del povero.
Il
moltiplicarsi di Congregazioni religiose di vita attiva, di gruppi, movimenti e
associazioni impegnati nel sociale che si ispirano alla dottrina di Santa
Luisa, ha fatto sì che Sua Santità Giovanni XXIII, il 10 febbraio 1960, la
dichiarasse “Patrona” celeste di quanti sono impegnati nelle opere sociali
cristiane, tra l’esultanza del mondo della Carità e di tutta la Famiglia
Vincenziana.